In tema di demansionamento e perdita di chance, le somme liquidate dal Tribunale, a seguito della lesione della capacità professionale del lavoratore, sono da considerarsi non imponibili, in quanto configurabili come danno emergente e, quindi, volte a risarcire la perdita economica subita dal patrimonio del lavoratore. Secondo quanto chiarito dall’Agenzia delle Entrate con l’Interpello n. 185 del 2022, le somme liquidate al dipendente a seguito dell’accertamento, in sede giudiziale, della lesione della capacità professionale (c.d. danno da perdita di chance) sono da considerarsi non imponibili in quanto configurabili come danno emergente e, quindi, volte a risarcire la perdita economica subita dal patrimonio del danneggiato. Per comprendere la portata di tale indicazione occorre rammentare che, in linea generale, l'art. 51 del TUIR afferma il principio secondo il quale tutto ciò che il datore di lavoro eroghi al proprio dipendente in relazione al rapporto di lavoro debba essere tassato; il reddito prodotto, infatti, è classificato come reddito di lavoro dipendente, cioè reddito generato da un lavoratore subordinato ai sensi dell'art. 2094 c.c. La predetta disposizione deve tuttavia essere coordinata con quanto disposto dall’articolo 6, comma 2, del Testo Unico delle Imposte sui redditi che stabilisce che “i proventi conseguiti in sostituzione di redditi, anche per effetto di cessione dei relativi crediti, e le indennità conseguite, anche in forma assicurativa, a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte, costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti”. La predetta norma afferma che qualsiasi compenso per poter essere considerato reddito, deve aver prodotto una ricchezza in capo al soggetto beneficiario; quindi, non può considerarsi reddito ciò che è un puro risarcimento patrimoniale. Sulla base di tale principio, non risultano, dunque, imponibili le indennità risarcitorie erogate al fine di reintegrare il patrimonio del lavoratore e di risarcire la perdita economica subita (cd. danno emergente), mentre le somme corrisposte al fine di sostituire mancati guadagni (cd. lucro cessante) hanno rilevanza reddituale. Con particolare riferimento al danno causato dal demansionamento, ricordiamo che lo stesso può essere di tipo patrimoniale, quale mancata acquisizione di capacità professionale, impoverimento delle stesse e perdita di chance professionali, o non patrimoniale, quale possibile lesione dell'integrità psico-fisica, danno esistenziale (un pregiudizio capace di alterare le abitudini del lavoratore che lo porta a compiere scelte personali diverse rispetto a quelle che sarebbero espressione della propria personalità) e lesione all'immagine professionale. L’Agenzia delle Entrate, in tema di danno da perdita di chance, ossia connesse alla privazione della possibilità di sviluppi o progressioni nell'attività lavorativa, riprende la recente statuizione della Corte di Cassazione che, con ordinanza n. 3632 del 7 febbraio 2019, ha ribadito che “(…) invero, il titolo al risarcimento del danno, connesso alla “perdita di chance”, non ha natura reddituale, poiché consiste nel ristoro del danno emergente dalla perdita di una possibilità attuale; ne consegue che la chance è anch’essa una entità patrimoniale giuridicamente ed economicamente valutabile, la cui perdita produce un danno attuale e risarcibile, qualora si accerti, anche utilizzando elementi presuntivi, la ragionevole probabilità della esistenza di detta chance intesa come attitudine attuale” (Cass. n. 11322/2003). Fondamentale è, in ogni caso, ai fini della risarcibilità del danno, l’elemento della prova dello stesso, sia per quanto riguarda la sua esistenza sia per quanto attiene alla sua entità. Con la sentenza n. 6572 del 2006, così come ripresa dall’Agenzia, la Corte di Cassazione ha, infatti, ribadito che il risarcimento «non può essere riconosciuto, in concreto, se non in presenza di adeguata allegazione, ad esempio deducendo l'esercizio di una attività (di qualunque tipo) soggetta ad una continua evoluzione, e comunque caratterizzata da vantaggi connessi all'esperienza professionale destinati a venire meno in conseguenza del loro mancato esercizio per un apprezzabile periodo di tempo. Nella stessa logica anche della perdita di chance, ovvero delle ulteriori potenzialità occupazionali o di ulteriori possibilità di guadagno, va data prova in concreto, indicando, nella specifica fattispecie, quali aspettative, che sarebbero state conseguibili in caso di regolare svolgimento del rapporto, siano state frustrate dal demansionamento o dalla forzata inattività. In mancanza di detti elementi, da allegare necessariamente ad opera dell'interessato, sarebbe difficile individuare un danno alla professionalità, perché - fermo l'inadempimento - l'interesse del lavoratore può ben esaurirsi, senza effetti pregiudizievoli, nella corresponsione del trattamento retributivo quale controprestazione dell'impegno assunto di svolgere l'attività che gli viene richiesta dal datore». L’interpello in commento dell’Agenzia delle Entrate deve, quindi, ritenersi in linea con i precedenti giurisprudenziali in materia, avendo ribadito che le somme liquidate al lavoratore per lesione della capacità professionale da perdita di chance, di cui è stata accertata l’esistenza in un precedente giudizio, non sono imponibili, poiché sono volte a risarcire la perdita economica subita del dipendente demansionato.