Negli ultimi anni, la percentuale di lavoratori italiani che hanno lasciato il proprio Paese di origine per perseguire opportunità di carriera all’estero è aumentata esponenzialmente. Tuttavia, seppur sulla base di trend differenti, anche il flusso inverso ha subito dei cambiamenti rilevanti, tanto da rendere necessario l’intervento del legislatore ai fini di regolamentarne in maniera capillare la gestione. Quando sorge la necessità, per i cittadini che non siano in possesso della cittadinanza italiana né beneficiari della libertà di circolazione di cui ai trattati comunitari in virtù della loro appartenenza all’Unione Europea, questi debbono ricorrere ad altre modalità di ingresso nel nostro Paese, definite da legislazioni speciali. È bene ricordare che, in generale, è previsto che i lavoratori stranieri che entrino nel territorio nazionale a fini professionali abbiano bisogno di un visto lavorativo che, successivamente, verrà trasformato in un permesso di soggiorno della medesima natura. Ciò anche ove la loro permanenza non superi i 90 giorni – tempistica per cui, di norma, per l’ingresso privo di una specifica motivazione è sufficiente un visto turistico. Il visto per motivi di lavoro viene concesso ai richiedenti interessati sulla base di un Decreto ministeriale (c.d. “Decreto Flussi”) che, annualmente, stabilisce un numero massimo (le c.d. “quote”) di lavoratori cui è consentito l’ingresso in Italia, sulla base di un principio cronologico, così che chi per primo, avendone diritto, faccia richiesta di ingresso, otterrà tale beneficio. Una volta raggiunto il limite numerico indicato nel Decreto “Flussi”, non è più possibile accedere regolarmente in Italia e qui prestare attività lavorativa per il periodo di riferimento; gli interessati dovranno, pertanto, attendere che il successivo Decreto definisca nuove quote d’ingresso. Alternativamente a quanto appena riportato, ad alcuni lavoratori che soddisfino dei requisiti specifici è concesso l’ingresso in Italia per opportunità di carriera senza dover rientrare nel numero massimo previsto annualmente dal Decreto “Flussi”. In altre parole, purché rientranti in determinate categorie professionali, a tali soggetti l’ingresso sarà comunque consentito. Ad esempio, ove le attività lavorative richiedano una specifica competenza professionale e il richiedente sia un lavoratore altamente specializzato (come, ad esempio, un dirigente), in possesso di un certificato attestante l’altro grado di istruzione ottenuta, nonché dei requisiti necessari per l’esercizio della relativa professione, quest’ultimo potrà richiedere la c.d. “Blue Card europea” la quale consente di beneficiare di una corsia preferenziale di accesso negli Stati Membri dell’Unione. Ancora, una diversa ipotesi di ingresso del lavoratore che non richieda il rispetto dei criteri tipici del visto per motivi di lavoro, è quello che avvenga nell’ambito di una prestazione di servizi convenuta dalla società sua datrice di lavoro. In tali casi, verrà applicata una normativa ad hoc (ex D. Lgs. n. 136/2016), la quale prescrive determinati obblighi informativi e amministrativi da rispettare al fine di operare regolarmente il trasferimento del lavoratore in argomento. Quelle appena evidenziate sono solo alcune delle molteplici alternative disponibili per i lavoratori interessati a prestare attività nel territorio italiano. Il ricorso a esse (piuttosto che ad altre opzioni), tuttavia, non può prescindere dalla valutazione delle circostanze del singolo caso di specie, soprattutto in considerazione del numero di variabili coinvolte, quali il Paese di provenienza del lavoratore, la natura dell’attività che sarà posta in essere o, ancora, il tempo di permanenza in Italia.