Il datore di lavoro, nell’assolvimento dell’obbligo di repêchage, deve prendere in esame anche le posizioni lavorative che, pur se ancora occupate al momento del licenziamento, si renderanno disponibili in un arco temporale prossimo al recesso. Con la sentenza n. 12132 dell’8 maggio 2023 la Corte di Cassazione ha ampliato l'ambito di applicabilità dell'obbligo di repêchage da rispettare prima di poter effettuare il licenziamento di un lavoratore per giustificato motivo oggettivo. In generale, l’obbligo di repêchage consiste nell’onere per il datore di lavoro, prima di procedere al licenziamento, di vagliare tutte le possibilità di ricollocazione all’interno dell’azienda del lavoratore in esubero o divenuto inidoneo alle mansioni assegnategli. Il repêchage è, dunque, strettamente connesso al giustificato motivo oggettivo di licenziamento, che, ai sensi dell’art. 3 della l. n. 604/1966, consiste nel licenziamento dovuto a “ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”. L’onere di repêchage incontra, comunque, li limite, previsto dalla giurisprudenza, della ragionevolezza, ossia del fatto che l’adempimento di tale obbligo non debba comportare rilevanti modifiche organizzative ovvero ampliamenti di organico o innovazioni strutturali non volute dall’imprenditore. La sentenza in esame, ha, tuttavia, esteso il perimetro temporale entro il quale il datore di lavoro deve effettuare la predetta valutazione. La Corte ha, infatti, affermato che, nel valutare la ricollocabilità del dipendente prima di procedere al suo licenziamento, il datore di lavoro debba prendere in esame anche le posizioni che, pur ancora occupate, si renderanno «disponibili in un arco temporale del tutto prossimo alla data in cui viene intimato il recesso». Nel caso oggetto di valutazione della Suprema Corte, invero, al momento del licenziamento del ricorrente, la società datrice di lavoro era a conoscenza del fatto che altri due lavoratori, con mansioni fungibili rispetto a quelle svolte dal licenziato, avevano rassegnato le proprie dimissioni e stavano svolgendo il periodo di preavviso contrattuale. La Corte ha, quindi, ritenuto non assolto l’obbligo di repêchage a fronte del possibile ricollocamento del lavoratore proprio in una di tali posizioni che, seppure non libere al momento del licenziamento, lo sarebbero divenute a breve distanza dalla data del recesso intimato.