Indennità dovute alla cessazione del rapporto di agenzia ai sensi degli AEC Commercio

29 Ottobre 2024

La disciplina dei rapporti di agenzia del settore del commercio è particolarmente specifica e, piuttosto che fare riferimento al solo Codice Civile, si arricchisce di ulteriori termini e condizioni attraverso un set di norme già stabilite a livello collettivo. Ciò altera sensibilmente le pattuizioni che sia il preponente, sia gli agenti dovranno considerare, soprattutto al momento della risoluzione del contratto di agenzia.

Se espressamente stabilito all'interno del contratto di agenzia (o applicato in concreto), le parti del contratto di agenzia del settore del commercio possono fare riferimento ai cosiddetti Accordi Economici Collettivi (“AEC”) per stabilire i termini e le condizioni di tale rapporto.

La fonte citata prevede norme specifiche che si affiancano a quelle stabilite dal Codice Civile e costituiscono un insieme più articolato di regole volte a disciplinare in maniera più capillare il rapporto tra l’agente e la preponente.

Con specifico riferimento ai pagamenti dovuti alla cessazione del rapporto di agenzia, gli AEC prevedono delle indennità di fine rapporto che il preponente deve riconoscere ai propri agenti ogni qualvolta il rapporto cessi per determinati motivi. In particolare:

A) Indennità di fine rapporto (FIRR): è dovuta per il solo fatto della cessazione; corrisponde all'1% delle provvigioni maturate e pagate all'agente durante l'intero rapporto fino a quel momento, con un ulteriore 3% dovuto per le provvigioni che raggiungono un valore economico fino a – in caso di esclusiva stabilita tra le parti – 12.400 euro (che scende all'1% in caso di valore compreso tra 12.400 e 18.600 euro).

B) Indennità suppletivadi clientela: è dovuta quando la cessazione è decisa dal preponente per motivi non imputabili all'agente o, in caso di dimissioni dell'agente, quando le dimissioni sono dovute a:

- invalidità permanente o totale o stato patologico a causa del quale il rapporto non può più essere ragionevolmente svolto;

- raggiungimento dei requisiti per il pensionamento;

- motivi determinati dal preponente;

- decesso dell'agente (in tal caso, le somme dovute saranno corrisposte ai suoi eredi).

Tale indennità è pari al 3% delle provvigioni maturate dall'agente nei primi tre anni di rapporto di lavoro, al 3,5% per gli anni dal quarto al sesto del rapporto e al 4% per tutti gli anni successivi.

C) Indennità meritocratica, che è dovuta solo se:

  • l'importo complessivo dovuto a titolo di indennità di cui ai precedenti punti A) e B) sia inferiore all'importo medio annuo delle provvigioni corrisposte all'agente negli ultimi cinque anni o nell'intera durata del rapporto se questo è iniziato da meno di cinque anni; e
  • al momento della cessazione del rapporto, l'agente abbia procurato nuovi clienti al preponente o ne abbia sensibilmente sviluppato gli affari con quelli esistenti, e il preponente tragga ancora vantaggi economici rilevanti da tali rapporti.

Questa indennità non è dovuta quando l'agente decide di interrompere il rapporto di lavoro per motivi propri, a meno che tale decisione non sia stata causata da una responsabilità del preponente o da una condizione personale dell'agente stesso.

Occorre sin da subito segnalare che il sistema delineato dagli AEC preveda dei presupposti e delle modalità di calcolo sensibilmente differenti da quelle dettate dall’art. 1751 c.c.

Per le norme collettive, infatti, rilevano soltanto le provvigioni percepite dall’agente nel corso del rapporto e la sua durata, con una rilevanza limitata del merito dell’agente nell’apportare nuovi clienti o sviluppare sensibilmente quelli esistenti (se non con riguardo alla sola ultima indennità sopra descritta).

Il penultimo comma dell’art. 1751 c.c., tuttavia, prevede l’inderogabilità della disposizione codicistica a svantaggio dell’agente, con una valutazione che deve essere effettuata ex ante rispetto alla sottoscrizione del contratto di agenzia.

La sentenza della Corte di Giustizia del 23 marzo 2006 C-465/04 (Honyvem c. De Zotti) ha ritenuto invalide le clausole dell’AEC – a quel tempo in vigore – in merito alla determinazione dell’indennità di fine mandato, poiché incompatibili con il sistema previsto dalla Direttiva 86/653/CEE.

Tali disposizioni, infatti, non consentono di cumulare l’indennità contrattuale con quella legale, né che sia dovuta all’agente un’indennità pari o superiore a quella determinata ai sensi della Direttiva.

Sebbene quanto precede sia pacifico, le corti italiane hanno sviluppato un proprio orientamento che, pur allineandosi all’insegnamento della Corte di Giustizia in tema di prevalenza della disposizione comunitaria rispetto al dettato degli AEC, afferma che la valutazione di maggiore o minore “favorevolezza” del trattamento collettivo rispetto a quello legale non vada effettuata al momento della sottoscrizione del contratto, ma alla sua cessazione.

Alla luce dei chiarimenti sopra esposti, è opportuno che il preponente di un rapporto di agenzia al quale sono applicati gli AEC sia consapevole del fatto che, in caso di risoluzione di detto contratto, l’agente – ove maggiormente favorevole – potrebbe, comunque, contestare l’applicazione delle disposizioni collettive ai fini della determinazione delle indennità di fine mandato, optando per i criteri e le modalità di calcolo indicati dall’art. 1751 c.c.

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