Nella sentenza del 20 giugno 2024, relativa alla causa C-540/22, la Corte di Giustizia UE ha stabilito che l’art. 56 TFUE, relativo alla libera circolazione dei servizi, non preclude a uno Stato membro di imporre a un’impresa, stabilita in altro Stato membro e intenzionata a distaccare nel territorio del primo dei lavoratori di Paesi terzi per un periodo superiore a tre mesi, l’obbligo di notificare preventivamente la prestazione di servizi alle autorità dello Stato membro ospitante e, successivamente, di ottenere dalle stesse un permesso di soggiorno per ciascun lavoratore straniero distaccato. Con la sentenza del 20 giugno 2024, nella causa C-540/22, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) si è espressa rispetto alla controversia che ha coinvolto alcuni cittadini ucraini titolari di un permesso di soggiorno temporaneo rilasciato dalle autorità slovacche, dipendenti di una società di tale nazionalità, successivamente distaccati presso una diversa società olandese. A tal fine, preventivamente rispetto all’inizio del distacco, la datrice di lavoro slovacca ha notificato alle autorità olandesi la natura e la durata iniziale dell’attività, inferiore di poco a 90 giorni. Successivamente all’inizio delle operazioni, però, la scadenza del periodo in argomento è stata prorogata fino a oltre un anno rispetto alla stessa. In virtù di detta proroga, la durata del distacco finiva per superare il limite di 90 giorni oltre i quali, ai sensi della normativa europea (Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen), gli stranieri che intendano circolare liberamente nello Stato membro devono richiedere e ottenere un valido titolo di soggiorno ai fini dell’ulteriore permanenza. Alla luce delle citate previsioni, la società slovacca ha richiesto alle autorità olandesi, in nome dei lavoratori stranieri, il rilascio di permessi di soggiorno regolari a tempo determinato. Le autorità olandesi hanno rilasciato i permessi richiesti, limitando, tuttavia, la durata della loro validità a quella dei permessi di soggiorno slovacchi dei lavoratori. I permessi di lavoro accordati dalle autorità olandesi risultavano, così, di durata inferiore rispetto a quella dell’attività lavorativa da svolgere in regime di distacco nei Paesi Bassi. Di fronte a tale decisione, i lavoratori hanno presentato reclami, contestando sia l’obbligo di ottenere un permesso di soggiorno per il distacco transfrontaliero, sia la durata limitata della validità dei permessi concessi, i quali sono stati respinti. Conseguentemente, i cittadini ucraini hanno adito il Giudice europeo per chiedere l’annullamento di tale decisione. Conseguentemente, la CGUE è stata investita del caso e, pertanto, chiamata a valutare sulla legittimità del diritto dello Stato membro nel quale i lavoratori stranieri vengano distaccati di esigere che ciascuno di essi ivi richieda e ottenga il rilascio del permesso di soggiorno in caso di permanenza superiore a 90 giorni dei lavoratori sul proprio territorio, e se ciò non osti alla libera prestazione di servizi sancita dagli artt. 56 e 57 TFUE. In tal caso, i giudici europei hanno dovuto valutare se sia coerente con l’assetto normativo comunitario che lo Stato ospitante preveda una legge che limiti, nei casi di rilascio di permesso di soggiorno ad un lavoratore straniero distaccato nel proprio territorio, la durata del suddetto permesso alla durata del permesso di soggiorno che il lavoratore straniero ha ottenuto nel Paese in cui ha sede la società distaccante. A seguito di una disamina della normativa europea e nazionale di riferimento, la Corte di Giustizia ha richiamato un proprio precedente, nel quale si affermava che una normativa nazionale, pur avendo un effetto restrittivo sulla libera prestazione di servizi, può essere giustificata qualora persegua un motivo imperativo di interesse generale. Tra le diverse giustificazioni proposte dai Paesi Bassi al fine di legittimare la previsione normativa che abbia degli effetti restrittivi sulla libera prestazione di servizi, la CJUE ha considerato motivi imperativi di interesse generale: la necessità di (i) tutelare l’accesso al mercato del lavoro nazionale (purché tale preoccupazione sia espressa nei confronti non dei lavoratori degli Stati membri), e (ii) verificare che il lavoratore distaccato non rappresenti una minaccia per l’ordine pubblico domestico. Di conseguenza, la Corte ha sancito la possibilità per lo Stato membro ospitante di limitare la durata di validità dei permessi di soggiorno dei lavoratori stranieri distaccati nel proprio territorio al fine di eseguire la prestazione transfrontaliera di servizi alla durata dei permessi che tali lavoratori hanno ottenuto nello Stato in cui è stabilita l’impresa. Infatti, se una società fornitrice di servizi transfrontalieri non svolgesse tale attività nel rispetto della legge, essa otterrebbe un vantaggio illegittimo, derivante cioè dalla commissione di un illecito. Ai fini della presente disamina, il presupposto che rende legale l’attività svolta dalla società che offre servizi transfrontalieri mediante l’impiego di un lavoratore extracomunitario è la regolare assunzione dello stesso, e ciò presuppone la validità del permesso di soggiorno rilasciato dallo Stato in cui è assunto. Alla luce della pronuncia della CGUE, dunque, i datori di lavoro che intendano distaccare lavoratori di Paesi terzi verso un altro Stato membro devono prestare particolare attenzione alla normativa locale in materia di soggiorno. È essenziale verificarne in anticipo i relativi requisiti e i limiti eventualmente imposti dalle leggi nazionali, così da evitare interruzioni operative e ulteriori oneri amministrativi. Inoltre, è consigliabile monitorare eventuali sviluppi normativi al fine di garantire la conformità delle procedure di distacco e tutelare sia l’azienda che i lavoratori coinvolti.