La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 170 del 7 gennaio 2025, ha riconosciuto la natura indirettamente discriminatoria dell’applicazione di un periodo di comporto uniforme per lavoratori disabili e non disabili. Con la sentenza n. 170 del 7 gennaio 2025, la Corte di Cassazione ha ribadito che un periodo di comporto della medesima durata per tutti i lavoratori, che non tenga, quindi, conto della peculiare condizione dei lavoratori portatori di handicap, costituisce discriminazione indiretta nei confronti di questi ultimi. Nel caso di specie, il lavoratore disabile licenziato per superamento del periodo di comporto ha impugnato la sentenza della Corte di Appello di Torino che, riformando la sentenza del giudice di primo grado, da un lato, rilevava la corretta qualificazione del lavoratore come “persona con disabilità” ai sensi degli artt. 1 e ss. del D. Lgs. 216 del 2003 e, dall’altro, non condivideva le conclusioni raggiunte nella pronuncia di prime cure, con cui il primo giudice riconosceva la natura indirettamente discriminatoria della circostanza di riconoscere il medesimo periodo di comporto tanto ai lavoratori non disabili, quanto a quelli che, invece, lo sono. La Suprema Corte, richiamando diversi precedenti conformi, ha affermato che l’applicazione del medesimo periodo di comporto ai lavoratori disabili e ai lavoratori non disabili darebbe luogo, secondo il diritto dell’Unione, a un’ipotesi di discriminazione indiretta. Infatti, stabilire il medesimo periodo di comporto per tutti i lavoratori è un criterio apparentemente neutro che diviene, di fatto, indirettamente discriminatorio nei casi in cui il datore di lavoro non consideri adeguatamente “i rischi di maggiore morbilità dei lavoratori disabili”, categoria che, proprio per tale ragione, si trova in una posizione di “particolare svantaggio”. La Suprema Corte ha precisato che il datore di lavoro che sia a conoscenza della disabilità del lavoratore (o per cui sia possibile conoscere tale stato mediante l’impiego dell’ordinaria diligenza) ha l’onere di verificare, prima dell’irrogazione del licenziamento per superamento del periodo di comporto, che le assenze non siano “connesse allo stato di disabilità”. In tal senso, la Corte ha ribadito l’esigenza che i contratti collettivi disciplinino specificamente la questione del comporto per i lavoratori disabili, “avendo riguardo alla condizione soggettiva del lavoratore”. La Cassazione ha, così, accolto il ricorso del lavoratore e ha cassato la sentenza della Corte di Appello di Torino. Invero, nel caso di specie, in base alle valutazioni di merito svolte dalla stessa Corte territoriale, il datore di lavoro era a conoscenza della condizione di disabilità del lavoratore e, ciononostante, aveva proceduto al suo licenziamento per superamento del periodo di comporto senza “acquisire informazioni circa la correlazione tra assenze per malattia del dipendente e stato personale di disabilità”, che sarebbero state utili a individuare possibili accorgimenti utili a evitare il recesso.